Il ragazzo si è girato solo per un secondo — e ha investito una ragazza…

Era una sera qualunque. La strada era tranquilla, l’aria tiepida, il cielo tinto di arancio mentre il sole calava lento dietro le colline. Artem guidava con calma, di ritorno a casa dopo una giornata lunga. Pensava al lavoro, a una bolletta da pagare, alla noia della routine. Nulla lasciava presagire il disastro.

Poi, un rumore secco.
Uno scossone improvviso.
La macchina si fermò con uno stridio.

Scese, tremando. A pochi metri dai fari accesi, sull’asfalto, c’era una figura immobile. Una ragazza. Giovane, con un cappotto bianco. I capelli scuri sparsi a ventaglio attorno al viso. Non si muoveva.

Artem non riusciva a respirare. Cercò il cellulare per chiamare i soccorsi, ma gli tremavano le mani. Fu in quel momento che si accorse di una cosa strana.

La sua mano destra era chiusa a pugno.
E dentro… qualcosa brillava.

Aprì lentamente la mano.
Dentro, un medaglione dorato.

Piccolo, rotondo, con un’incisione sulla superficie:
«Trovami, se ti ricordi.»

Non poteva essere. Lo conosceva.
Quel medaglione era un ricordo dimenticato.
E la ragazza sull’asfalto… cominciava ad assumere un volto familiare.

Non era un’estranea
Quando il vento le scostò i capelli dal viso, Artem rimase senza fiato. Era Lera, la sua amica d’infanzia. La prima persona di cui si fosse mai innamorato. Vivevano nello stesso palazzo quando erano bambini. Giocavano ogni giorno. Fino a quando lei non si trasferì con la famiglia all’estero, all’improvviso, senza dire addio.

L’ultimo giorno le aveva regalato proprio quel medaglione.

— «Se un giorno lo troverai, mi troverai anche a me.»

Una promessa fatta tra bambini. Una frase che il tempo avrebbe dovuto cancellare.

Eppure… eccola lì. Vent’anni dopo. Davanti a lui. Sotto la sua macchina.

Sopravvisse. Ma non ricordava nulla
In ospedale, i medici dissero che era fortunata. Nessuna frattura grave. Ma aveva perso la memoria. Non sapeva chi fosse, né dove si trovasse. Nessun documento. Nessun numero di telefono. Nessuna spiegazione.

Artem andò a trovarla ogni giorno. Le parlò della loro infanzia, dei giochi nel cortile, delle lettere che le scriveva e mai spediva. Lera ascoltava. Sorrideva, ma con distacco.

Finché un giorno lui le mostrò il medaglione.

Quando lo toccò, si mise a piangere.

«Non so perché… ma mi sembra di conoscerlo. Mi fa sentire… a casa.»

Lo tenne con sé, ogni giorno. Come se fosse una chiave.

I ricordi tornarono. Poco a poco
All’inizio, piccoli flash: un nome. Un odore. La sensazione di un’altalena. Poi, una notte, lo guardò negli occhi e disse:

— «Mi chiamavi Lersha… è vero?»

Lui sorrise.
— «Sì. Solo io ti chiamavo così.»

Da quel momento, qualcosa cambiò.

Nei mesi successivi, Lera recuperò la memoria. Non tutta. Ma abbastanza per sapere che Artem era parte di lei. Non solo nel passato. Ma anche nel presente. E forse… nel futuro.

Si trasferirono insieme. Ricominciarono. Condivisero la vita che non avevano mai avuto tempo di vivere da bambini.

Il medaglione rimase appeso all’ingresso di casa. Non come decorazione. Ma come promemoria silenzioso:

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