L’uomo rideva raccontando agli amici della vacanza con l’amante. Ma a casa lo aspettava qualcosa di sconvolgente…

Stepan era raggiante. Tornato da una settimana di «viaggio di lavoro», non perse tempo e si diresse subito verso il solito ritrovo dietro i garage, dove lo attendevano i vecchi amici. Lì, tra il fumo di sigaretta e il profumo pungente di birra, il tempo sembrava fermarsi.

— Ragazzi, — iniziò con un sorriso malizioso, — quella sì che è stata una settimana da sogno. Lariska… una donna come poche. Una fiamma viva. Sette giorni di puro divertimento. Nessuna scenata, nessun capriccio. Solo risate, coccole e passione.

Gli amici lo ascoltavano a bocca aperta. Alcuni ridevano, altri scuotevano la testa con invidia. Per loro, Stepan era un eroe. Una leggenda che aveva saputo spezzare le catene della vita familiare senza essere scoperto.

— E se tua moglie dovesse scoprirlo? — azzardò uno.

Stepan rise, scrollando le spalle:

— Svetlana? Ma dai. Dove vuoi che vada? Ha bisogno di me. Nessuno la prenderebbe. Tornerà sempre indietro.

I commenti volgari e le risate si rincorrevano nell’aria pesante di fumo. Stepan si sentiva invincibile.

Dopo una mezz’ora di racconti e vanti, decise di tornare a casa. Era sicuro di sé, convinto che tutto sarebbe proseguito come sempre.

Suonò il campanello. La porta si aprì quasi immediatamente. Davanti a lui, Svetlana. Non sembrava arrabbiata. Non sembrava nemmeno sorpresa. Solo un sorriso strano le incurvava le labbra. Un sorriso che a Stepan fece accapponare la pelle.

— Ciao, tesoro, — mormorò lui, tentando un sorriso disinvolto.

Svetlana si fece da parte in silenzio. Stepan entrò, posò la valigia e si tolse le scarpe. Era pronto a comportarsi come se niente fosse accaduto. Ma ciò che vide lo gelò all’istante.

Sul tavolo, in salotto, c’erano delle scatole. Le sue camicie, i pantaloni, le scarpe. Tutto accuratamente piegato. Ogni scatola portava un’etichetta: «Addio», «Buona fortuna», «Non tornare».

Il cuore di Stepan saltò un battito. Si girò verso Svetlana, ma lei non disse una parola. Con calma, premette un tasto del telecomando.

La televisione si accese. Sullo schermo, Stepan vide se stesso. Prima in spiaggia, abbracciato a Lariska. Poi in un ristorante, mentre la baciava teneramente. Infine mentre la prendeva in braccio all’ingresso di una casa.

Le immagini erano nitide, inequivocabili, devastanti.

Stepan deglutì a fatica. Tentò una scusa:

— Non è come sembra…

Svetlana rise piano. Una risata fredda, senza traccia di emozione.

— Hai ragione, — disse piano. — È peggio di come sembra.

Dietro di lei, Stepan notò altri bagagli. E, tra le valigie, un piccolo zainetto rosa: quello della loro figlia.

— Ti prego, parliamone, — balbettò. — Possiamo sistemare tutto, amore…

Svetlana scosse la testa.

— Il mio avvocato ti contatterà domani. —

Si voltò e scomparve nella stanza da letto, senza aggiungere altro.

Stepan rimase lì, immobile, circondato dalle prove della propria rovina. Solo pochi minuti prima si vantava della sua furbizia davanti agli amici. Ora era solo, ridicolo, distrutto.

Fuori cominciò a piovere. Le gocce battendo sui vetri sembravano scandire l’inevitabile fine di un capitolo della sua vita.

Quella sera, Stepan imparò una lezione che non avrebbe mai dimenticato. Alcuni errori non si possono cancellare. Alcune porte, una volta chiuse, non si riaprono mai.

E non c’è sorriso, scusa o pentimento che possa cambiare questo fatto.

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