Il ragazzo si è distratto solo per un secondo — e ha investito una bambina con l’auto…

Ivan uscì di casa in ritardo. La mattina era iniziata male: la macchina del caffè non funzionava, il telefono era scarico, e come beffa finale, il cliente che di solito arrivava sempre tardi aveva appena scritto che stavolta sarebbe stato puntuale.

Il traffico era paralizzato. Non il solito rallentamento, ma un vero e proprio muro di lamiere ferme. Davanti, lampeggiava un’auto in panne. Nessuno si muoveva. Ivan imprecò tra i denti e sterzò bruscamente, infilando la macchina in un vicolo laterale.

«Farò prima passando per i cortili», mormorò, ignorando quasi del tutto il navigatore, che nel frattempo si era bloccato.

Con una mano sul volante, allungò l’altra verso il sedile del passeggero, cercando alla cieca il cellulare sotto scontrini, confezioni vuote e cavetti. Distolse lo sguardo per un solo istante.

E fu proprio in quell’istante che la vide.

Una bambina. Piccola. Con le trecce scomposte. Che correva fuori da dietro una macchina parcheggiata.

I freni stridettero. La macchina sussultò.

Poi — silenzio.

Ivan uscì di scatto dalla vettura. A terra, davanti al cofano, giaceva la bambina. Sei, forse sette anni. Magra, con uno zainetto dalla cinghia strappata.

Il cuore gli martellava nelle orecchie. Si avvicinò.

Ma non c’era sangue. La bambina aprì gli occhi. Si mise lentamente seduta. Era confusa, sì, ma non spaventata. Né ferita.

— Stai bene? Dove ti fa male? Riesci ad alzarti? — domandò, quasi senza fiato.

La bambina lo guardò con uno sguardo serio, quasi severo. Poi, senza dire una parola, tese verso di lui il pugno chiuso.

Ivan istintivamente porse la mano.

Lei la aprì.

E nella sua mano cadde un anello.

Un anello perduto… o ritrovato?
Era semplice, d’argento, con una piccola pietra azzurra incastonata. Non sembrava un giocattolo. Era troppo adulto, troppo antico. Eppure era lì, freddo e reale, nella sua mano tremante.

Ivan alzò lo sguardo. Ma la bambina non c’era più.

Era già sparita, inghiottita dal dedalo dei cortili. Lo chiamò. Nessuna risposta.

Restò lì, nel silenzio irreale del mattino, stringendo quell’anello come se fosse un messaggio dimenticato.

Una coincidenza? O qualcosa di più?
Quella sera, Ivan raccontò tutto a sua moglie. Mostrò l’anello. Lei impallidì.

— Ma… è impossibile… — sussurrò.

Riconobbe l’anello immediatamente. Era della sua bisnonna. Si era perso anni prima in un incendio nella vecchia casa di famiglia. Lo avevano dato per distrutto. Ma eccolo lì, tra le dita di suo marito.

L’incisione interna, con le iniziali e la data, era identica. Non poteva essere una copia. Era quello.

Come fosse finito nelle mani di una bambina — e poi nelle sue — rimaneva un mistero.

Dopo quel giorno
Ivan non cercò più spiegazioni. Iniziò semplicemente a vivere con maggiore attenzione. Smise di maledire il traffico. Lasciò il telefono in tasca mentre guidava. E ogni tanto, nei pomeriggi silenziosi, riapriva la scatolina dove aveva riposto l’anello.

Lo teneva lì, vicino ai documenti più importanti. Non per valore materiale. Ma per ciò che rappresentava.

Un istante. Una scelta. Un gesto. Un incontro che non era previsto — e che forse non doveva nemmeno esserci.

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