Nel cuore di un piccolo villaggio tra le colline, dove le giornate scorrevano lente e silenziose, viveva Anna. Donna forte, lavoratrice instancabile, da anni lavorava come mungitrice nella fattoria comunale. La sua vita ruotava attorno a un’unica persona: sua figlia Elisa, costretta su una sedia a rotelle dopo un incidente stradale che aveva distrutto la loro famiglia.
Il marito era scomparso poco dopo l’accaduto, lasciando Anna sola con il dolore e la responsabilità. Da allora, ogni giorno era una ripetizione del precedente: sveglia all’alba, lavoro con gli animali, ritorno a casa, cure per Elisa, e poi silenzio.
Finché un giorno arrivò uno sconosciuto.
Un uomo alto, magro, con il viso segnato dal tempo e lo sguardo perso nel vuoto. Nessuno sapeva da dove venisse. Dormiva in una vecchia capanna abbandonata al margine del bosco. Raccolta di bottiglie vuote, silenzio come unica compagnia. Ma un giorno qualcuno lo vide parlare con Elisa. Seduti entrambi su una panchina al sole. Lei sorrideva.
Da quel giorno, l’uomo iniziò a comparire più spesso. Portava piccoli doni: una piuma, un sasso levigato dal fiume, un fiore secco. Raccontava storie antiche, a volte cantava piano. Elisa tornò a sorridere. Anna osservava da lontano. In silenzio.
Fino a quel pomeriggio.
Una vicina bussò alla sua porta, trafelata:
— L’ho visto. Ha spinto Elisa verso le vecchie terme.
Le vecchie terme. Un edificio in rovina, chiuso da anni. Nessuno ci entrava da decenni.
Anna uscì correndo. Il cuore batteva impazzito. Il respiro corto. Attraversò il campo, il sentiero fangoso, e raggiunse la porta. La spalancò con forza.
E si bloccò.

Dentro c’era luce. Candele accese lungo le pareti crepate. Profumo di legno umido e sapone. Elisa era sdraiata su una vecchia panca, avvolta in un asciugamano pulito. Il vagabondo, in ginocchio, le lavava delicatamente i piedi in una bacinella d’acqua calda. Con rispetto. Con dolcezza. Senza dire una parola.
Non c’era paura. Non c’era vergogna. C’era qualcosa di sacro. Di umano.
Anna restò immobile. Non gridò. Non pianse. Solo osservò. Poi si sedette a terra. E il muro dentro di lei, costruito in anni di dolore, si incrinò.
L’uomo sparì quella notte. Nessuno lo vide più.
Tre giorni dopo, arrivò un pacco. A nome di Elisa. Dentro: una nuova sedia a rotelle elettrica. E un biglietto:
“Non sei rotta. Sei luce. Ricordalo.”
Senza firma.
Da quel giorno, Elisa iniziò a disegnare. A sognare. A parlare di futuro. E sul suo comodino, accanto ai libri, c’è ancora oggi una piccola stella di legno intagliata a mano.
Anna, anni dopo, disse a una giornalista:
— Non so chi fosse. Ma ha fatto quello che nessuno era riuscito a fare. Le ha restituito dignità. A me, la fede.