Era un mattino qualunque, nebbioso e silenzioso, quando Nikolaj, un uomo solitario che viveva ai margini di un piccolo villaggio vicino al bosco, vide qualcosa muoversi tra le erbacce sul ciglio della strada. Avvicinandosi, scoprì un piccolo corpo tremante, infreddolito, ricoperto di fango. Un cucciolo, sembrava. Abbandonato, affamato, quasi senza forze.
Senza esitare, lo prese tra le braccia e lo portò a casa. Lo lavò, lo curò, lo nutrì. Lo chiamò Nebbia, per via del suo pelo grigio fumo e del modo in cui sembrava apparire e scomparire tra le ombre.
All’inizio, tutto sembrava normale. Ma in poche settimane Nikolaj capì che Nebbia non era un cucciolo qualunque.
Cresceva troppo in fretta. E in modo troppo strano.
In tre mesi era già più grande di un pastore tedesco. A sei mesi, aveva superato le dimensioni di un lupo. Ma non era solo la stazza a preoccupare. Era il comportamento. Nebbia non abbaiava. Non giocava. Non scodinzolava. Non cercava coccole. Osservava.
Ore intere, immobile, fissava il bosco. Di notte non dormiva: restava seduto davanti alla porta, vigile, come se aspettasse qualcosa. Quando nel bosco si udiva un rumore, non si agitava. Si alzava lentamente, fissava il punto e ringhiava. Non per paura. Ma per avvertimento.
La gente del villaggio cominciò a notare.
«Che razza è?» chiedevano alcuni. «Quello non è un cane normale», sussurravano altri. Nikolaj sorrideva, cercava di rassicurarli. «Forse un meticcio. Trovato nel bosco.»
Ma dentro di sé cominciava a dubitare. Cosa aveva davvero accolto nella sua casa?
La risposta arrivò un anno dopo.
Durante una visita in città, Nikolaj mostrò la foto di Nebbia a un veterinario. L’uomo osservò l’immagine in silenzio per alcuni secondi, poi disse:

— Non è un cane. O almeno… non completamente. Forse un ibrido. Lupo, forse. Ma ha qualcosa… di diverso. Di più antico.
Quella notte, Nikolaj installò una videocamera nel cortile. Voleva capire cosa faceva Nebbia mentre lui dormiva.
Il mattino seguente guardò le registrazioni. E rimase senza fiato.
Alle due del mattino, Nebbia uscì dalla sua cuccia. Si alzò sulle zampe posteriori. Non completamente eretto, ma abbastanza da sembrare quasi umano. Si fermò, annusò l’aria, poi scomparve nel bosco.
Tornò dopo due ore. Con altri due. Identici. Silenziosi. Coordinati. Soprannaturali.
Nikolaj lasciò la casa il giorno dopo.
Prese solo lo stretto necessario. Vendette la proprietà. Non disse nulla a nessuno. E non tornò mai.
Qualche settimana dopo, nel giornale locale apparve una breve notizia:
«Avvistamenti notturni nei pressi del bosco. Strane creature simili a lupi, ma più grandi, più veloci. La popolazione è invitata a non uscire dopo il tramonto.»
Gli abitanti cominciarono a chiudere le porte prima che calasse il sole. I bambini non giocavano più vicino agli alberi. E chi camminava tardi per strada, giurava di aver visto occhi brillare tra i rami.
A volte pensiamo di salvare qualcosa di debole. Ma forse stiamo semplicemente aprendo la porta a qualcosa di antico. Di dimenticato. E una volta che entra… non se ne va più.