A volte basta una semplice preghiera silenziosa per innescare una catena di eventi capaci di cambiare il destino di molte persone.
Nessun grande progetto, nessuna campagna pubblicitaria. Solo il desiderio sincero di aiutare dove il bisogno umano va ben oltre il materiale.
Mi sentivo svuotata. Facevo volontariato presso un centro di distribuzione alimentare, dove il nostro compito si limitava a consegnare una scatola di cibo e andarcene. Non ci era permesso fare domande, fermarci a parlare. Soddisfacevamo i bisogni fisici delle persone, ma ignoravamo completamente la loro fame di contatto umano.
C’era qualcosa di profondamente sbagliato.
Quella sera, pregai su questa frustrazione. Chiesi a Dio di mostrarmi una strada.
La risposta arrivò prima di quanto pensassi.
Mi incontrai con la mia amica Abby al parco per mangiare insieme un panino.
Lei, senza sapere nulla dei miei pensieri, mi disse:
«Ci pensavo… La nostra chiesa dice di essere pro-vita. Ma cosa facciamo concretamente per queste madri, dopo?»
Le sue parole mi scossero. Era come se Dio stesso stesse rispondendo alla mia preghiera attraverso lei.
Un inizio fragile, ma pieno di fede
Decidemmo di creare la Serata Comunitaria per Giovani Madri.
Un luogo dove le mamme giovani potessero sentirsi viste, ascoltate e amate.
Un rifugio dalla solitudine, dalla fatica quotidiana, dal senso di abbandono.
La prima sera? Nessuno si presentò.
Rimasi seduta in quella sala vuota, ma dentro di me avevo la certezza: questa era la strada giusta.

Non ci arrendemmo. Stampammo volantini. Ci iscrivemmo ai gruppi Facebook locali di mamme e mandavamo messaggi personali a chiunque dicesse «Mi sento sola».
Organizzammo serate di scambio di vestiti premaman.
Ed è lì che incontrammo Aubrey.
Aubrey: una vita in fuga dal buio
Aubrey era una giovane madre, fuggita da una situazione domestica violenta.
Aveva due bambini piccoli e, poco dopo averci conosciute, partorì il terzo.
Noi organizzammo turni di assistenza continua per i suoi figli mentre lei era in ospedale.
Più tardi ci confidò:
«Non avevo mai sperimentato un amore così incondizionato.»
Ed era esattamente questo il nostro obiettivo.
Creare uno spazio in cui chiunque potesse sentirsi accolto, amato senza condizioni, apprezzato per quello che è.
La forza della costanza
Il segreto fu la costanza.
Ogni settimana, senza eccezioni, ci ritrovavamo attorno a un grande tavolo.
Ogni settimana, stessa ora, stessa atmosfera di fiducia.
Talvolta invitavamo specialisti — psicologi, consulenti, medici — ma la verità è che i veri dialoghi iniziavano solo dopo che loro se ne andavano.
Quasi ogni incontro portava lacrime, abbracci, racconti spezzati e ricostruiti.
Spesso le conversazioni continuavano nel parcheggio, sotto le stelle, fino a notte inoltrata.
Quando il sostegno salva la vita
Diciotto mesi dopo l’inizio del nostro progetto, affrontai un aborto spontaneo.
Fu uno dei periodi più bui della mia vita.
Eppure, sapevo che alla riunione successiva mi sarei sentita accolta.
Nessuno mi avrebbe chiesto spiegazioni. Nessuno avrebbe giudicato il mio dolore.
Mi avrebbero solo amata.
Aubrey venne con un piccolo biglietto, un minuscolo quaderno di preghiere, e un delicato ciondolo in memoria del mio bambino.
Ricordo di aver pianto stringendoli al petto.
E pensai:
«Signore, non so come avrei fatto senza questa comunità.»
Quelle donne erano diventate la mia famiglia.
Cosa abbiamo imparato
Le persone hanno bisogno di cibo, sì.
Ma soprattutto hanno bisogno di relazioni.
Di luoghi dove essere visti, ascoltati, amati.
Siamo partite da una sala vuota.
Oggi sappiamo che ogni messaggio, ogni incontro, ogni stretta di mano, cambia un destino.
E spesso tutto inizia con una semplice preghiera.
E un panino condiviso in un parco.