Una piccola perla del passato: «Forse non sai cosa sia… ma se lo sai, sei davvero di un’altra epoca»

Era custodito in una scatola di legno dimenticata, tra lettere ingiallite dal tempo, fotografie in bianco e nero e bottoni senza asola. Sembrava un oggetto qualunque, uno di quelli che si trovano nei mercatini dell’usato o in fondo a un vecchio cassetto di un nonno ormai lontano.

Lo presi in mano. Era freddo, solido, con una superficie liscia ma segnata da piccole cicatrici lasciate dal tempo. Di metallo dorato, rotondo, non più grande di un palmo. Lo osservai da ogni angolazione, cercando di intuire a cosa servisse. Poi notai una piccola levetta. La spinsi delicatamente. Con un clic quasi impercettibile, il coperchio si aprì come una conchiglia.

All’interno: un quadrante con numeri romani e due lancette ferme. Erano… un orologio da tasca.

Il suono del tempo che fu
Oggi molti non saprebbero nemmeno cosa siano. Eppure, in passato, l’orologio da tasca non era solo uno strumento per controllare l’ora. Era uno status symbol, una dichiarazione silenziosa di rispetto per il tempo — proprio e altrui.

Era l’oggetto che scandiva le giornate di commercianti, ufficiali, medici, poeti e uomini d’affari. Ogni gesto era rituale: infilare la mano nel panciotto, tirare fuori la catena con grazia, aprire il coperchio con naturalezza e gettare uno sguardo rapido ma attento alle lancette.

Un gesto semplice, ma carico di eleganza. Un atto quotidiano che oggi abbiamo dimenticato.

Non solo uno strumento
Molti orologi da tasca portavano incisi nomi, iniziali, date. “Al mio amato figlio, 1926”. “Con amore eterno, Maria”. Non erano solo orologi: erano ricordi tascabili, promesse meccaniche che si portavano ovunque.

Passavano di generazione in generazione, testimoni di guerre, partenze, ritorni, lettere scritte a mano, fidanzamenti, dolori e rinascite. C’era chi li indossava ogni giorno e chi solo per le grandi occasioni. Ma tutti li trattavano con rispetto.

A volte bastava vederli per capire chi avevi davanti: chi era puntuale, chi onorava gli impegni, chi dava valore a ogni minuto.

E poi li abbiamo dimenticati
Con l’arrivo del digitale, tutto è cambiato. Gli orologi sono diventati braccialetti intelligenti, lo smartphone ci dice l’ora, ci sveglia, ci avvisa, ci controlla. Ma forse, proprio perché abbiamo tutto a portata di schermo, abbiamo smesso di dare valore al tempo.

Un orologio da tasca richiedeva attenzione. Dovevi estrarlo, aprirlo, leggere. Ti costringeva a rallentare. A essere presente.

Ora, invece, controlliamo l’ora dieci volte al giorno — senza neanche accorgercene. Ma la sentiamo davvero?

La scoperta che cambia il ritmo
Ho portato quell’orologio da un vecchio orologiaio del quartiere. Aveva mani esperte e occhi curiosi. Lo osservò con cura, sorrise.

«È svizzero, primi del Novecento. Era un ottimo orologio. Con un po’ di pazienza, lo facciamo ripartire.»

Dopo una settimana tornai. L’orologio ticchettava. Piano, ma costante. Lo rimisi nel palmo della mano, lo aprii, e per un attimo mi sembrò che anche il tempo avesse rallentato.

Da quel giorno lo porto con me. Non sempre, ma spesso. Non perché mi serva sapere l’ora — lo so già. Ma perché mi aiuta a ricordare che il tempo non è solo qualcosa da gestire. È qualcosa da vivere.

Una memoria che pulsa
Oggi l’orologio è lì, sulla mia scrivania. A volte lo tiro fuori, lo apro, lo guardo. Altre volte lo sento ticchettare piano nella tasca. E ogni volta, quel suono lieve mi ricorda che il tempo vero non si misura solo in secondi.

Si misura nei momenti vissuti consapevolmente. Negli sguardi. Nelle attese. Nei silenzi.

E allora capisci che un oggetto così piccolo può contenere qualcosa di enorme: la memoria, lo stile, la lentezza. Quella lentezza che abbiamo dimenticato e che ora inseguiamo sotto altri nomi: mindfulness, benessere, equilibrio.

Добавить комментарий

Ваш адрес email не будет опубликован. Обязательные поля помечены *