Quando sono andato a trovare mia nonna in Francia, ho trovato nella sua cucina un oggetto strano e pesante. Non avevo idea di cosa fosse – finché non me lo ha spiegato. E sono rimasto senza parole.

La casa di mia nonna in Francia è un mondo a sé. Ogni stanza sembra sospesa nel tempo, piena di oggetti antichi, profumi di erbe essiccate, tende con motivi floreali e mobili in legno massiccio. Ma la cucina… la cucina è un santuario. È lì che il tempo rallenta. Lì che ogni cosa ha un’anima. Lì che ho trovato un oggetto che non avevo mai visto prima.

Era su una mensola, accanto a una vecchia caffettiera e a un mortaio in pietra. Sembrava una specie di mestolo, ma pesante, in ghisa, con un manico ricurvo e una piccola griglia forata alla base. Lo presi in mano con curiosità. Il metallo era freddo, scuro, segnato dal tempo. Non sembrava qualcosa di moderno. E non ne capivo la funzione.

— Nonna, che cos’è questo? — le chiesi.

Lei sorrise con dolcezza, come se stesse aspettando quella domanda da anni.

— Quello è un brûle-parfum, — disse. — Noi lo chiamavamo il profumatore da cucina.

Non capivo. Un profumatore? Da cucina? Non era un diffusore elettrico. Non era nemmeno una candela. Così lei si sedette e iniziò a raccontare. E quel racconto mi cambiò lo sguardo sulle cose.

Un oggetto che portava profumo e memoria

Il brûle-parfum era un oggetto usato un tempo per profumare la casa in modo naturale. In un’epoca senza deodoranti spray, diffusori automatici o fragranze sintetiche, le famiglie si affidavano a questo strumento per riempire le stanze di aromi veri. Bastava inserire nella parte inferiore delle erbe secche, bucce d’arancia, chiodi di garofano o qualche goccia di olio essenziale. Poi si scaldava la ghisa sopra una piccola fiamma. E lentamente, il calore rilasciava l’aroma.

— D’inverno ci mettevamo la lavanda e la cannella, — raccontava. — Quando venivano ospiti, usavamo la scorza d’arancia. In estate, invece, foglie di menta o rosmarino.

Non era solo una questione di profumo. Era un rito. Un modo per preparare la casa, per accoglierla. Un gesto semplice, fatto con cura. Un’intenzione.

Oggi ci affidiamo al rapido, al comodo, all’elettronico. Ma ci stiamo perdendo qualcosa

La nonna mi guardò negli occhi.

— Non servono tanti soldi per rendere una casa accogliente. Bastano le mani, le erbe giuste e il tempo.

Quelle parole mi sono rimaste dentro. Perché oggi viviamo in un’epoca in cui tutto deve essere veloce, funzionale, digitale. Ma questo piccolo oggetto in ghisa rappresentava l’opposto: la lentezza, il silenzio, la manualità. E soprattutto, il legame tra noi e lo spazio in cui viviamo.

L’ho voluto provare anch’io

Con la guida di mia nonna, ho acceso una piccola fiamma, inserito un po’ di lavanda secca e un pizzico di scorza d’arancia. Dopo pochi minuti, l’intera cucina si è riempita di un profumo caldo e avvolgente. Non era intenso, non era artificiale. Era naturale. Ed era familiare, anche se non l’avevo mai sentito prima.

Mi sono seduto, in silenzio, e ho capito. Il profumo non riempiva solo l’aria. Riempiva anche la memoria. Era un ponte tra passato e presente. Tra me e tutte le generazioni che prima di me avevano abitato quella casa.

Un oggetto semplice, una lezione preziosa

Oggi quel brûle-parfum è tornato con me. Sta nella mia cucina. Non lo uso tutti i giorni, ma quando lo faccio, sento qualcosa cambiare. Il ritmo rallenta. La casa diventa più viva. E io, anche solo per un attimo, sento di essere parte di qualcosa di più grande.

Questo oggetto antico mi ha insegnato che non dobbiamo correre sempre. Che l’accoglienza si crea con gesti piccoli. Che la memoria può avere un profumo. E che anche nelle cose più semplici può nascondersi una magia che oggi stiamo dimenticando.

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