Igor era un bravo programmatore. In ufficio lo conoscevano tutti per il suo talento nel risolvere problemi con una rapidità sorprendente. Bastava un clic, un’occhiata al codice e, in pochi minuti, anche il computer più ostinato tornava a funzionare come nuovo. Le ragazze lo adoravano: lo chiamavano “il mago della tastiera”. Ogni volta che una macchina si bloccava, non si preoccupavano nemmeno più. Chiamavano Igor, e sapevano che, in pochi minuti, sarebbero tornate a digitare, senza dover più maltrattare i tasti con le unghie o le dita tremanti.
Igor aveva ventotto anni, ma sembrava più giovane. La sua figura snella e il volto serio, sempre immerso nei pensieri, lo facevano sembrare un personaggio uscito da un romanzo moderno. Era riuscito, nonostante tutto, ad arruolarsi nell’esercito, a concludere il servizio senza traumi e a laurearsi in ingegneria informatica con ottimi voti. Un bravo ragazzo, come si direbbe in famiglia. Educato, lavoratore, affidabile.
Ma c’era un problema: non riusciva a sposarsi.
E non per mancanza di occasioni. Le ragazze non mancavano: alcune uscivano con lui, altre gli lanciavano sguardi eloquenti in pausa caffè. Ma nessuna riusciva a trattenersi più di qualche mese. Le relazioni finivano sempre nello stesso modo: “Sei fantastico, Igor, ma non sento di avere un posto nella tua vita”. Oppure: “Hai sempre la testa altrove”. E poi, la classica: “Hai bisogno di sistemarti prima di costruire qualcosa insieme”.
Igor scrollava le spalle, tornando al suo codice. Ma dentro, qualcosa lo tormentava.
Sua madre, Olga, era la più preoccupata. Ogni volta che lo sentiva al telefono o lo vedeva tornare a casa per una visita, non mancava occasione per tornare sull’argomento. “Hai quasi trent’anni, Igor!”, sospirava, come se quelle parole avessero un peso millenario. “E quando ci porterai una sposa a casa?”
Igor sorrideva, paziente. “Quando avrò una casa mia. O almeno un appartamento.”

“Dove sarebbe ai nostri tempi?”, ribatteva la madre, sconsolata. “Noi non possiamo aiutarti a comprarne uno, lo sai. Io e tuo padre viviamo con pensioni da fame. Ce la caviamo appena.”
La questione era questa. Igor guadagnava bene, certo, ma non abbastanza per comprarsi un appartamento in città, nemmeno con un mutuo. Affitto, spese, risparmi per il futuro… ogni mese si chiudeva con pochi euro messi da parte. Non perché fosse uno spendaccione – anzi, era parsimonioso – ma perché il costo della vita lo divorava un po’ alla volta.
Aveva fatto domanda per l’edilizia agevolata, ma era in fondo a una lunga lista. Aveva pensato di trasferirsi in periferia, ma significava perdere ore di vita ogni giorno nel traffico, e magari allontanarsi ancora di più da una possibile compagna. Le donne che aveva frequentato non volevano “iniziare da zero in un monolocale da studente”, come gli disse un giorno Elena, l’ultima fiamma.
“Non è questione di soldi, Igor. È che non vedo in te un progetto.”
Quelle parole lo colpirono. Perché lui un progetto lo aveva. Solo che non era visibile.
Igor sognava una vita semplice. Una compagna con cui condividere una cena tranquilla dopo il lavoro. Un figlio, forse due. Un cane, la domenica in campagna. Ma anche una connessione stabile, una postazione con due monitor e una tastiera meccanica, una routine in cui potesse continuare a fare ciò che amava: programmare. Ma come si fa a costruire tutto questo senza una base?
Il paradosso era evidente: non riusciva a trovare una compagna perché non aveva una casa; e non riusciva ad avere una casa perché era solo. Il sistema sembrava progettato per coppie già formate, per chi aveva genitori ricchi o viveva in zone con prezzi ancora umani. Igor, come molti suoi coetanei, era intrappolato in una terra di mezzo: abbastanza capace per ambire a qualcosa di più, ma non abbastanza fortunato per poterselo permettere.
Un giorno, tornando a casa dopo una giornata difficile, trovò suo padre seduto in giardino. Non parlavano spesso, ma quella sera l’uomo lo guardò con uno sguardo strano.
“Lo sai, Igor,” disse, “quando ho sposato tua madre non avevamo nulla. Un letto, un tavolo, due sedie. Ma avevamo voglia di fare. Non aspettavamo che tutto fosse perfetto.”
Igor ascoltava in silenzio.
“Forse il problema non è la casa. Forse è che cerchi di avere tutto sotto controllo prima ancora di iniziare.”
Quelle parole lo fecero riflettere. Non cambiò la sua situazione economica, certo, né gli regalarono un appartamento. Ma gli offrirono una nuova prospettiva.
Qualche settimana dopo, Igor conobbe Chiara, una graphic designer che lavorava in smart working. Si trovarono a parlare di sogni, di routine, di libertà. Lei non cercava un uomo con una casa, ma un partner con cui crescere. Quando Igor le raccontò la sua visione della vita, lei sorrise.
“Mi piace. Possiamo iniziare da dove siamo.”
E così fecero. Presero un piccolo appartamento in affitto. I mobili erano usati, il divano cigolava, ma avevano un tavolo su cui cenare insieme, e due scrivanie per lavorare fianco a