C’era folla sulla banchina di una piccola stazione ferroviaria. Gente con valigie, alcuni in partenza, altri in arrivo, ma quasi tutti rivolgevano lo sguardo verso un punto preciso. Un gruppo di persone stava facendo baccano, ma non per rabbia: era un misto di risate, pianti e musica. Qualcuno stava partendo per il servizio militare.
Un uomo suonava l’organetto con energia, un altro cantava con voce squillante e spezzata, mentre alcuni tentavano goffi passi di danza. Ma dietro quella scena festosa, si avvertiva una malinconia tagliente. Diversi piangevano in silenzio, e tutti avevano gli occhi puntati su un giovane: il protagonista di quel momento.
Era alto, forte, con uno zaino pesante sulle spalle. Parlava continuamente: rispondeva a domande, annuiva, prometteva qualcosa a qualcuno. E, tutto il tempo, abbracciava con un braccio una ragazza fragile, che affondava il viso nel suo petto e singhiozzava piano. Lei non diceva una parola: si limitava a stringersi a lui, come se così potesse trattenerlo più a lungo.

Con l’altro braccio, il ragazzo cingeva una donna di mezza età: sua madre. Anche lei taceva. Cercava di mantenere il controllo, ma le lacrime le scendevano comunque dagli occhi, tradendola. Rimaneva immobile, combattendo dentro di sé una tempesta che non mostrava.
Accanto a loro, stava in piedi un uomo: il padre del ragazzo. Non diceva nulla. Ogni tanto, semplicemente, posava una mano sulla spalla del figlio e gli dava una pacca decisa. Era il suo modo di parlare. Un gesto pieno di ciò che non riusciva a esprimere con le parole.
In quel momento, per madre, padre e fidanzata, il tempo sembrava essersi fermato. Se avessero potuto, l’avrebbero bloccato per sempre, pur di prolungare quel breve istante prima della separazione.
Ma poi, si udì il fischio dell’elettrotreno.
L’intero gruppo si immobilizzò. La musica si zittì, l’organetto cadde nel silenzio. Il treno cominciò a rallentare, e tutti fissarono lo sguardo sulle carrozze che scorrevano davanti ai loro occhi.
Uno… due… tre…
Contavano. Non per sapere quante fossero, ma per prendere coscienza del tempo che rimaneva. Ogni carrozza che passava li avvicinava all’inevitabile. Ogni secondo pesava come una pietra.
Poi, quando il treno si fermò, e le porte si aprirono con un sibilo metallico, il giovane soldato dovette sciogliersi da quell’abbraccio triplo che era casa, infanzia e amore. Si staccò lentamente, come se ogni centimetro gli costasse.
Non disse niente. Nessuno disse niente. Era il silenzio a parlare per tutti.
E mentre saliva i gradini del vagone, sembrava che non portasse solo uno zaino sulle spalle, ma anche il peso di tutti quelli che lo amavano.
Il treno, indifferente e inesorabile, aspettava con le porte aperte.