Ivan correva verso l’ufficio. Era in ritardo, e naturalmente il traffico era paralizzato. «Dannazione!» sbottò, battendo il volante con il palmo.
Due secondi per decidere, e già sterzava nei vicoli interni. «Spero che nessuno abbia bloccato il passaggio», pensò. Il telefono squillò. Un messaggio. Automaticamente cercò di afferrarlo tra la confusione sul sedile del passeggero: scontrini, bottiglie vuote, una penna, carte di lavoro.
Poi accadde.
Frenò di colpo. Le gomme urlarono sull’asfalto.
Davanti al cofano, una bambina. Piccola, forse sei o sette anni. Si era materializzata dal nulla. Ivan rimase impietrito per una frazione di secondo, poi scese di corsa.
La bambina era a terra, ma non c’era sangue. Gli occhi grandi e stupiti, le ginocchia sbucciate. Cercò di sollevarsi, confusa.
— Stai bene? Riesci a muoverti? — chiese Ivan, la voce rotta dal panico.
Lei non rispose subito. Poi, come se nulla fosse, allungò la mano verso di lui. Nella sua manina chiusa c’era qualcosa.

Ivan allungò la sua. Lei vi depose un piccolo anello d’argento, semplice, con una pietra azzurra incastonata al centro.
— È della mia mamma, — disse. — L’avevo perso qui ieri. E tu l’hai trovato.
Ivan lo guardò. L’anello era terribilmente familiare.
Mezz’ora dopo erano in ambulanza. I medici dissero che la bambina stava bene, solo una leggera contusione. Si chiamava Lisa. Aveva deciso di tornare in quel cortile per cercare l’anello. Era tutto ciò che le era rimasto della madre.
— È morta poco fa, — sussurrò Lisa. — Papà ha detto che l’anello era speciale. Io l’ho perso, e… non sapevo come dirglielo.
Ivan taceva. Le parole della bambina si confondevano con il rumore del suo stesso cuore. Guardava l’anello e sentiva qualcosa spezzarsi dentro.
Lo conosceva. Non poteva sbagliarsi. Quel gioiello apparteneva a una donna del suo passato. Qualcuno che aveva amato. Qualcuno che aveva lasciato andare.
Non sapeva che lei avesse avuto una figlia.
Nel pomeriggio incontrò il padre di Lisa all’ospedale. Era un uomo alto, segnato dalla stanchezza. Gli strinse la mano con sincera gratitudine.
— L’anello… gliel’ha dato lei? — chiese.
Ivan annuì. L’uomo lo prese con delicatezza. Rimase a guardarlo a lungo, poi disse:
— Era della madre di Lisa. Lo portava sempre. Quando ci siamo separati, non ne parlava più. Ma so che pensava spesso a qualcuno del suo passato.
— A chi? — chiese Ivan, ma già sapeva.
— A te, probabilmente. Non ha mai fatto nomi. Disse solo che una volta amava qualcuno, e che il tempo, il lavoro, gli impegni… avevano rovinato tutto.
Ivan non disse nulla. Ma sentiva una stretta che non provava da anni.
Passarono dei giorni. Ivan non dormiva. Ogni notte tornava con la mente a quell’anello, a quegli occhi, a quel momento in cui il destino aveva incrociato la sua strada con quella di una bambina che, inconsapevolmente, gli aveva restituito un pezzo della sua storia.
Una settimana dopo, tornò in quel cortile.
Lisa era lì, con lo zaino e la solita lacerazione sulla spallina.
— Ciao, — disse lei, sorridendo. — Papà dice che sei una brava persona.
— Ciao, — rispose Ivan. — Vai a scuola?
Lei annuì.
— Vuoi un passaggio?
Lisa ci pensò un attimo. Poi salì in macchina.
Guidarono piano, in silenzio. Al semaforo, rosso fisso, Ivan non distolse lo sguardo dalla strada nemmeno per un secondo.
Accanto a lui, la bambina teneva le mani in grembo, tranquilla. Ma in quella tranquillità c’era qualcosa di più grande: una connessione. Una seconda possibilità. Un nodo sciolto dopo anni di silenzio.
A volte, basta un secondo. Un errore, un gesto. Un pugno chiuso che si apre.
E tutta la vita cambia direzione.